Voglia di adrenalina? Kayak, clonk e siluri!

L’aria è frizzante e la luce ancora soffusa, ma questa condizione non durerà a lungo. Tra un paio di ore probabilmente il sole splenderà prepotente e allora sarà troppo tardi per sperare in una bella cattura: se esiste un momento giusto, è adesso.

Sono sulla sponda e, come ho fatto diverse volte negli ultimi mesi, mi accingo a dare inizio ad una battuta di pesca in solitaria. Braghe corte, maglietta, giubbetto galleggiante (sempre!), crocs ai piedi: d’estate è tutto più facile.

Il kayak è in acqua, il sedile fissato, un paio di canne montate, il vecchio eco già acceso. Ho una borsa contenente una scatola a scomparti ed una manciata di oggetti: lo stretto necessario, per evitare di appesantire il mezzo e per limitare i danni in caso di scuffiata..

Il secchio del vivo è fissato nel pozzetto posteriore ed ospita pochi pesci di dimensioni non eccessive. Anche nella migliore delle ipotesi, le mangiate non saranno numerose: sulla base delle uscite precedenti, so che, se andrà bene, avrò una possibilità, forse due.

Mi siedo sul kayak a cui assicuro la pagaia con un cordino ed un moschettone: sarà meglio non perderla, se voglio tornare a casa. Uno sguardo all’acqua, un’ultima indecisione sulla meta e poi scelgo di partire e raggiungere uno spot dove l’uscita scorsa avevo visto delle tracce interessanti. Le pagaiate si susseguono rapide ed il kayak scivola silenzioso: la sensazione è quella di fluttuare sull’acqua, quasi fossi staccato da essa, come su un tappeto volante. I muscoli sono relativamente freddi, ma si scalderanno in fretta: lo spot è a circa 20 minuti di pagaia. Mentre avanzo, ripasso le azioni che dovrò compiere in pesca e come ovvierò a tutta una serie di possibili complicazioni che potrebbero insorgere, soprattutto se dovessi incappare in un bel pesce. Ma allontano questi pensieri: non amo troppo indulgere in fantasie.

Ecco, dovremmo esserci: è il momento di pescare!

Incastro la pagaia sotto la fibbia che tiene chiuso il gavone anteriore e lascio che sporga in lunghezza alla mia sinistra. Sfilo la canna dal porta canne e la appoggio sulle gambe mentre mi giro per acchiappare a tentoni un’esca dal secchio. Innesco rapidamente e calo in una decina di metri d’acqua, a circa due metri dal fondo. La corrente non è veloce, ma devo considerare il suo impatto sull’azione di pesca, correggendo l’avanzamento del kayak con colpetti di pagaia, ma anche con movimenti delle gambe che lascio sporgere lateralmente dal sit on top. Dopo un paio di minuti, l’eco rileva dei movimenti di aria e particelle vicino al fondo: nulla è casuale.

Afferro il caro, vecchio clonk, batto un colpo ed ecco che, dopo pochi istanti, raso fondo si materializza una bella traccia. La tentazione è quella di avvicinare l’esca al siluro, ma quasi certamente questo farebbe scappare a pinne levate il pesce. Muovo leggermente l’esca, per essere sicuro che il siluro l’abbia percepita, ma so bene che in effetti non serve: sentono tutto.

A pochi secondi dal primo, batto altri due colpi di clonk ed il pesce si stacca dal fondo rivelandosi in una traccia corposa. Inizia a salire lentamente, e continua fino a raggiungere la profondità a cui staziona l’esca.

La maggior parte dei pesci a questo punto si fermerebbe a controllare l’esca. Curioso ma circospetto e giocando come il gatto con il topo, colpirebbe il pesce con il muso e lo sfiorerebbe con i baffi, per poi decretare che si tratta di qualcosa che non è il caso di mettere in bocca, tornando inevitabilmente sul fondo, al riparo da bocconcini facili, ma traditori. Una piccola percentuale può decidere di attaccare: subito, oppure temporeggiando, ma indotta in tentazione dal nostro “corteggiamento” a base di clonk e opportuni saliscendi.

Il “mio” pesce invece, decide di non degnare l’esca di nessuna considerazione e continua a salire, nonostante io non stia più clonkando. A volte lo fanno: salgono oltre l’esca, raramente oltre la metà del fondale disponibile per poi affondare rapidamente. Ma questo pesce continua a salire, lento e costante e in pochi secondi si trova a non più di un metro dalla chiglia del kayak: guardo in acqua, cercandolo tra i riflessi, ma non lo intravedo comunque, a causa della torbidità. Peraltro, ne perdo la visualizzazione intera, leggendone solo una parte dato che a quella profondità il cono dell’eco è strettissimo: è proprio sotto al kayak! Un po’ teso, sono colto da due pensieri che vanno in direzioni differenti:

  • Speriamo non decida di scodare a galla o potrebbero essere guai!
  • Come cacchio lo prendo?

Inizio con le cose ovvie e recupero treccia, portando l’esca al livello del siluro che non reagisce. Resto fermo qualche istante interminabile: se salgo ancora temo che non attaccherà più. Lentamente, faccio scendere l’esca pensando che comunque è molto improbabile che il pesce attacchi: di solito lo fanno sempre dal basso verso l’alto. Il pesce segue l’esca nella sua lenta discesa e dopo meno di un paio di metri, la ghermisce con violenza, continuando a scendere e di fatto ferrandosi! La reazione alla puntura è violentissima e parte una fuga repentina verso il fondo, che, nonostante la frizione quasi serrata, lo porta a guadagnare diversi metri di filo, mentre io, ancora incredulo, reggo la canna con due mani: sto usando una 240 ad azione parabolica che pescando da una barca risulterebbe per i miei gusti un po’ troppo lunga, ma dal kayak permette di gestire al meglio il combattimento, consentendo di aggirarne la punta anche quando è incurvata.

Il siluro traina il kayak per svariati metri e diversi minuti, non perdendo di vista il fondo e riguadagnandolo sistematicamente prima di lasciarsene staccare alla fine di un combattimento veramente cattivo e reso oltremodo avvincente dalla leggerezza del mezzo su cui mi trovo. Non ci facciamo mancare nulla: zuccate decise, risalite improvvise, ripartenze prepotenti, cambi di direzione repentini, tentativi di arrocco tra rami sommersi e scodate a galla con relativa doccia. Un’esperienza veramente esaltante, ma che non deve protrarsi eccessivamente per evitare di sfiancare il siluro. Cerco di gestire il combattimento tenendo sempre la canna dritta, in linea con il kayak e mai perpendicolare ad esso: in questo modo non si corre il rischio di ribaltarsi in caso di fughe esplosive del pesce e si riesce a tenere testa a pesci anche più impegnativi di quello che ho in canna.

Ed eccolo a galla:  stanco, di fianco al kayak, mi sfiora la gamba con il corpo massiccio. E’ una bella creatura ed una discreta cattura: lo ammiro mentre la sua coda serpeggia in una maniera che da sempre mi incanta. Per me è questa l’essenza della pesca e questa è l’immagine che stavolta si imprime a fuoco nel cervello, andando ad arricchire il mio album fotografico mentale.

Tuttavia, la gestione di grossi pesci aggallati lontano da riva non è banale e, se non ci si accontenta di sganciarli, ma li si vorrebbe misurare ed immortalare in una foto, può essere problematica. Per mia fortuna, l’approccio con il siluro dal kayak è stato relativamente graduale, permettendomi di fare pratica con pesci piccoli prima di incappare in pesci più impegnativi. Questo mi ha permesso di capire un poco quali operazioni riesco a compiere in sicurezza: tra queste non rientra il fatto di issare lateralmente a bordo un pesce sopra i 50 kg. Per fare guadagnare la riva al pesce ho usato un espediente che permette di trainarlo delicatamente senza legarlo, operazione che peraltro sarebbe veramente ardua con una sola mano libera. Magari lo descriverò in un futuro articolo specifico, se a qualcuno interessa.

A riva, procedo ad una misurazione rapida ed effettuo un paio di scatti mettendo il pesce sul kayak bagnato per evitare di ferirlo sul terreno o asportare molto muco, non avendo con me il telo. Una riossigenata, un paio di morsi convincenti alle mani da parte sua ed ecco che il mio avversario torna libero.

Il kayak a mio avviso è veramente molto divertente, permettendo il connubio tra attività fisica e pesca. Già diversi anni fa, più di un amico mi aveva esortato a intraprendere questa nuova avventura, ma a dirla tutta, la questione mi spaventava parecchio. Poi, con il tempo, l’idea ha fatto presa e ho acquistato un modello usato di piccole dimensioni che mi ha permesso di fare pratica ed affrontare gradualmente situazioni più impegnative, sia sul piano dell’ escursionismo che su quello del kayak fishing. Chi mi conosce, sa che non sono uno sportivo, dunque, se ce l’ho fatta io, può veramente riuscirci chiunque sappia nuotare ed abbia voglia di mettersi alla prova.

Mi ritrovo oggi a scrivere di questo non senza un certo imbarazzo, dato che è un onore che toccherebbe alle tante persone infinitamente più quotate a riguardo, tra le quali spicca il grande amico Stefano Norcia che mi ha introdotto in questo mondo affascinante e che mi sento di consigliarvi come istruttore se deciderete di intraprendere questa attività meravigliosa, ma ricca di situazioni pericolose che non devono mai essere sottovalutate.

Se deciderete di provarci, accettate un consiglio: approciatevi gradualmente al kayak fishing. Impratichitevi senza attrezzatura da pesca, fate dei bei giri e poi complicate man mano la questione. Mezzi adeguati alle acque e ai pesci che desiderate insidiare, sono d’obbligo perchè, ancora più che in barca, è bene cercare di prevedere e prevenire quali sono i limiti ed i rischi delle situazioni che andrete a vivere. Non lasciatevi stregare dai tanti video e foto di splendide catture dal kayak, perchè chi arriva a portarle a termine lo fa dopo aver intrapreso un percorso che non saprei come definire se non formativo.

Attualmente sto utilizzando con soddisfazione l’italianissimo Koi di Raimbow Kayaks che grazie alla seduta alta ed alla grande stabilità laterale mi permette di pescare in situazioni di corrente non veloce anche nel periodo freddo: se ci sarà l’ occasione ve lo presenterò con una recensione dettagliata.

         

Affrontate le acque e la pesca con il giusto bagaglio di tecnica e dotazioni: la prudenza ed il buon senso devono essere le prime cose che caricherete sul vostro nuovo kayak!

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